Lucio Dalla è stato anche un attore. Forse non tutti sanno che, sotto quel pelo setoso come il manto di un orso della Majella, c’è un talento attoriale che abbiamo visto espresso troppo poco in questi anni. Rimane pertanto una perla ancora più rara l’IMMORTALE capolavoro Little Rita nel West, film del 1967 con Rita Pavone. Quale altra Rita poteva essere “Little”?
Come dite? Rita Dalla Chiesa? Rita Levi Montalcini? Va bene, Rita è un nome da tappette. Ma la Rita in questione è Rita Pavone, che nel film interpreta Little Rita, che affronta – con il coraggio e la grinta che solo vagonate di pappa col pomodoro possono dare – mille e mille avventure. Al suo fianco, lo straordinario Francis Fitzgerald Grawz, interpretato proprio da Lucio Dalla.
Pur travestito da western, trattasi sempre di musicarello e, come ogni musicarello che si rispetti, anche Little Rita è pieno di momenti musicali totalmente immotivati.
Pierdavide Carone. Pierchecosa? Caroché? Va bene, forse questo nome – così, di primo acchito – non vi dice molto. Riproviamo così:
Come se un giorno freddo in pieno inverno
nudi non avessimo poi tanto freddo perché
noi coperti sotto il mare a far l’amore in tutti i modi, in tutti i luoghi in tutti i laghi in tutto il mondo
l’universo, l’universo, l’universo…
Erano i versi IMMORTALI cantati da Valerio Scanu al Festival di Sanremo 2010. Beh, signori, forse non tutti sanno che quei versi IMMORTALI sono stati scritti proprio da Pierdavide Carone.
Avete forato per anni le gomme sbagliate.
È stato lui, è stato Pierdavide, uscito pure lui dalla scuderia di Amici di Maria De Filippi, a scrivere gli IMMORTALI versi di contorsionismo amoroso; è stato lui a farci chiedere come diamine si possa fare l’amore in tutti laghi, essendo taluni di essi molto molto profondi. Coperti sotto il mare, per altro! Sfidando le leggi della fisica, della geografia e pure un poco della religione e dell’educazione fisica, anche se quella era una materia che non si filava mai nessuno (le Telecomari avevano il permesso scritto per saltare le ore di ginnastica e stare sul divano a guardare Rosanna Fratello su RaiDue).
È stato lui a ignorare bellamente la metrica del verso in “copertisottoilmare” e a riempire il finale dell’inciso con “l’universo… l’universo l’universo”, un po’ come i na-na-ee-ee-ee di Vasco.
Ma almeno con una parola di senso compiuto, questo va detto, in difesa del povero Pierda.
Ma egli è un cantautore, e ci vuole consegnare quanti più versi IMMORTALI possibile. Come quelli de La ballata dell’ospedale, della quale vi proponiamo un sunto.
L’inciso dice: Questo è l’ospedale, c’è chi scende e c’è chi sale ma questo discorso no, per me non vale Perchè quando entrai, la speranza persi ormai da qui non si esce mai… insomma, lasciate ogni speranza, voi ch’entrate. Noi un po’ di speranza la riponiamo nel fatto che quest’anno Pierdavide la canzone l’ha scritta con Lucio Dalla.
Arisa.
Vero nome: Rosalba Pippa.
Per noi può bastare.
Quella di Francesco Renga è una parabola. Non nel senso di racconto metaforico con annesso predicozzo, ma proprio nel senso grafico del termine. Scegliete voi se trattasi di parabola ascendente o discendente.
C’era una volta un ragazzo rude, grintoso, pieno di capelli e di gioielli a casaccio; un ragazzo che cantava in una band, che girava l’Italia in concerti pieni di fan adoranti e che – testimoniano fonti più che vicine al nostro divano – in ogni città si informavano sulla fauna locale. “Come sono le donne, qui?”. C’era un ragazzo (ci si passi la citazione morandiana: se non ora, quando?) che una sera, alla fine di un concerto, non aiutò i suoi colleghi a smontare la strumentazione per liberare il palco (mica sono tutti come Lady Gaga, che ha pure chi le mangia le pellicine e chi gliele sputa via; sono due distinte professionalità, sì). Questo ragazzo non era svogliato o presuntuoso: si era “semplicemente” beccato una coltellata in un pub un paio di sere prima del concerto. Dicono fonti più che vicine al nostro divano.
E dopo qualche anno c’era un altro ragazzo, che diceva di chiamarsi pure lui Francesco Renga. Era ancora grintoso, ma molto meno rude, sorrideva molto di più e si era tolto una decina di kg di capelli. Questo ragazzo adesso cantava per conto suo. Non s’informava nemmeno più sulla fauna locale, essendosi accaparrato un esemplare di fauna da molti parecchio apprezzato quale Ambra Angiolini. C’era un ragazzo che una sera, a Sanremo, dove non solo non devi liberare il palco da solo, ma di mettono pure la ics per dirti dove ti devi piazzare a cantare, c’era un ragazzo – dicevamo – che una sera, a Sanremo, salì sul palco per cantare “Angelo, prenditi cura di lei…”, e quei versi erano dedicati alla figlia, e non alla sua ulcera accoltellata.
Come cambiano le cose.
Oh, a proposito di cambiare! Tra poco si comincia: iniziamo a darci una sistemata.
Anche se siamo sul divano di casa, è pur sempre Sanremo. Via con le ciabatte della festa.
Mi è piaciuto il tuo post!
Secondo me è comunque da qui che occorre ripartire per rifondare una società e anche una tele-visione.
http://vongolemerluzzi.wordpress.com/2012/02/15/sanremo-che-tristezza/
Un saluto da Lordbad
Vongole & Merluzzi